QUANDO FINISCE IL MANAGER INIZIA IL LEADER


QUANDO FINISCE IL MANAGER INIZIA IL LEADER


Alla ricerca dei “guadagni di atmosfera”
Nelle reti commerciali e in particolar modo nelle reti di consulenza finanziaria e di private banking è sempre attuale il dibattito sul ruolo del manager e sulla sua efficacia e sostenibilità all’interno delle strutture aziendali.
Chi scrive è, da oltre un ventennio, consulente finanziario e ha avuto modo di collaborare, nel corso degli anni, con importanti e riconosciuti manager del settore ricoprendo egli stesso da alcuni anni un ruolo manageriale.
Nelle reti di consulenza finanziaria la specificità principale risiede nel fatto che i consulenti finanziari, tranne rare eccezioni, sono dei lavoratori autonomi (generalmente con un mandato senza rappresentanza) e quindi poco inclini ad atteggiamenti di subordinazione tipici del lavoratore dipendente.
Il consulente finanziario infatti dovrebbe essere animato, nello svolgimento della sua attività, da un approccio imprenditoriale (peraltro il fisco così considera il reddito che genera) in modo da poter “interpretare” al meglio il suo ruolo.
Tale premessa è da ritenersi essenziale perché permette di “inquadrare” meglio il mondo delle reti di consulenza finanziaria dove coesistono strutture commerciali di diversa natura e consistenza in termini di organizzazione gerarchia, di complessità burocratica e di modalità operative.
All’interno di tali strutture la presenza del manager ossia di “colui che gestisce” (dall’inglese “to manage”) è evidentemente fondamentale per svolgere attività di organizzazione, pianificazione, amministrazione e controllo attraverso conoscenza di regole e procedure per ottenere risultati (spesso limitati al breve termine) e risolvere problemi (prevalentemente nell’immediato).

Il Manager, in sintesi, gestisce e porta a termine obiettivi, è responsabile ed ha responsabilità.

Finora chi ha interpretato questo ruolo ben applicando le suddescritte caratteristiche ha sicuramente prodotto risultati di rilievo indipendentemente dalla banca “mandante” (anche se ci piacerebbe definirla partner commerciale) con cui ha operato.
L’evoluzione del ruolo del consulente finanziario e i cambiamenti, che potremmo definire epocali, che stanno interessando il mondo in generale – e quindi anche quello della finanza, delle banche e della consulenza – accelerati dalla pandemia richiedono, però, di valutare possibili nuovi approcci anche nello svolgere il ruolo di “colui che gestisce”.
Il nuovo mondo che si sta delineando richiede innovazione e visione per interpretare realtà complesse e situazioni instabili. Per gestire un cambiamento di tale portata si deve definire una direzione, attraverso strategie in grado di sviluppare e realizzare una prospettiva di lungo raggio, motivando e coinvolgendo le persone.
Probabilmente non basta più un utilizzo efficiente della formula del processo, della stabilità e del controllo con cui finora si sono raggiunti gli obiettivi e affrontati, in larga parte risolvendoli, i problemi.
Siamo di fronte a scenari inattesi ed imprevedibili che richiedono “contro-misure” diverse e differenti.
Il punto su cui partire è: ispirare e coinvolgere le persone con cui si collabora.

“Colui che gestisce” deve diventare colui che entusiasma e spinge chi lo circonda a seguirlo in avventure forse rischiose ma sicuramente stimolanti.

E’ colui che influenza e rappresenta un modello.
E’ colui che motiva ed incoraggia e che, con la sua azione, emerge e si distingue dagli altri per l’originalità delle soluzioni offerte e per le idee fuori dall’ordinario.
Non si tratta, più e solamente, di dirigere e controllare che ognuno esegua i propri compiti ma bisogna invece chiedere e proporre, coltivando le personalità dei collaboratori e coinvolgendoli in un progetto comune anche attraverso la delega ai migliori di alcuni compiti, anche più prettamente “manageriali”, se funzionali a raggiungere l’obiettivo.
In tal modo è più facile che problemi e ostacoli diventino occasioni di crescita e di sviluppo per tutti.
Abbiamo parlato di influenza, visione, originalità, condivisione, collaborazione ma solo credere visceralmente in qualcosa ha il potere di scatenare negli altri quell’energia per passare concretamente all’azione.

Questa forza trainante si chiama passione ed è l’unica in grado di smuovere le menti e generare azione trasformando le sfide in opportunità.

Senza passione le caratteristiche di cui abbiamo parlato rischiano di rimanere buone intenzioni.
La passione ha una caratteristica essenziale: può essere percepita e trasmessa, anche in modo contagioso, e difficilmente può essere simulata.
A questo punto fare un elenco delle differenze tra le caratteristiche richieste ad un manager rispetto a quelle possedute da un leader penso abbia poco senso.
Per non lasciare deluso qualcuno però proponiamo un semplice esercizio per capire se si è un leader o un manager: si pensi a quante persone fanno riferimento a voi per gerarchia (normalmente all’interno della struttura coordinata) e quante invece per un confronto od un consiglio (senza avere alcun rapporto o appartenenza alla struttura che si guida): più saranno per la seconda motivazione e più significa che siete percepiti come leader.

Quello che invece rileva è comprendere quanto sia essenziale la differenza tra un “modo di fare” rispetto ad un “modo di essere”.

In questo “modo di essere” le persone, con le loro storie e le loro aspirazioni, non possono che essere centrali in ragione del fatto che prima dei guadagni economici ci sono i cosiddetti “guadagni di atmosfera”.
Chi saprà generare questa “atmosfera”, che è difficile da spiegare ma più facile da comprendere, sarà visto e riconosciuto come un leader in grado di aggregare intorno a sé sempre più persone anche di differente provenienza.
Per concludere con il quesito che ci eravamo posti all’inizio ci sentiamo di affermare che, almeno per le reti di consulenza finanziaria, il tempo per il manager “vecchio stile” stia finendo e invece stia iniziando l’epoca del leader “influente” e dei “guadagni di atmosfera”.

Scritto da Donatello Ceccotti © 2019